Il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) è un regolamento europeo che disciplina il modo in cui le aziende e le altre organizzazioni trattano i dati personali.
Il regolamento si compone di 99 articoli e istituisce alcune novità come il diritto all’oblio (gli utenti possono chiedere di rimuovere informazioni a proprio riguardo), la «portabilità» dei dati (si possono scaricare e trasferire dati da una piattaforma all’altra, senza vincolarsi a un certo account) e l’obbligo di notifica in caso di data breach (le aziende, se subiscono fughe di informazioni sensibili, devono comunicarlo entro 72 ore).
I destinatari sono i «titolari del trattamento», ossia chi gestisce le informazioni: privati e, soprattutto, aziende.
Se si viola il regolamento, scattano delle sanzioni. Salate. A seconda della gravità dell’infrazione, le multe sono divise in due scaglioni: fino a un massimo di 10 milioni di euro o, per le imprese, il 2% del fatturato (se superiore); oppure fino a un massimo di 20 milioni o il 4% del turnover, sempre per le aziende e sempre in rapporto al giro d’affari. Per farsi un’idea, il Garante alla privacy è riuscito a incassare nel 2015 poco più di 3,3 milioni di sanzioni.
La multa più “leggera” (10 milioni o 2% turnover) viene inflitta per la trasgressione di principi come la privacy by design (mancata protezione dei dati fin dalla progettazione) o la carenza di misure adatte a garantire un buon standard di sicurezza. Quella più pesante (20 milioni o 4% del turnover) arriva in caso di violazione dei principi fondamentali, come la negazione del diritto all’oblio o l’opacità nella richiesta di consenso dei dati.